Bella e perduta (l’occasione) novembre 19, 2015 É sempre complicato provare a dire qualcosa che suoni critico verso chi esprime senza dubbio una espressione di Napoli attenta, battagliera, che si cimenta nell’arte e nel sociale. Dove non soccorrono competenze specifiche, come per queste riflessioni, rimane comunque uno sguardo intriso di curiosità per chi propone un registro nuovo, chi tenta un linguaggio inesplorato, prova un passo originale. Quanto si riporta qui di seguito può risultare opinabile, ma é per definizione profondamente onesto e poco retorico. Venendo al dunque. Il sassofonista che in un assolo jazz tenta una nota troppo alta o cerca una sequenza improbabile senza riuscirci o senza farlo fino in fondo merita un applauso più fragoroso. Ci ha provato, ci sta provando, bene. Chi scrive un film no. Quella è un’opera fredda, a condivisione posticipata. Puoi passare le settimane a limare, a correggere e a tagliare. Puoi passare un mese, anni. Bella è perduta ha immagini favolose, è girato e montato in un modo che lascia trasparire talento, cura, ispirazione artistica per certi versi rara. E però è scritto con una retorica urticante, soffre di richiami continui a grandi padri, la cui ombra incombe e appesantisce anche la scena più lieve. Pasolini oggi avrebbe fatto cose diverse o, meglio, in modo diverso da come le fece cinquant’anni fa. Perché fare oggi un film pasoliniano? Gli archetipi sono fondamentali ma perché spararli in faccia che manca solo la manina sotto con pollice e indice che si muovano nel polso a sottolineare “e ai’? (Hai capito)? No. Basta. Sminuisce anche le generose interpretazioni di attori presi dalle strade e dalle piazze di Napoli. (Chi lo aveva fatto pure questo, aspe’…). La conventicola degli “e ai’?” si guarda continuamente e annuisce ad ogni citazione da cogliere, ride in maniera smodata se la battuta presuppone una particolare cultura della materia. Sottintende: io lo so che vuole dire, si sì. E sono speciale perché un sacco di altre persone non può capire perché non sa. Andrebbe tutto bene se poi si distinguessero i tentativi riusciti da quelli falliti. No. Il piacere di appartenere anche solo un poco alla ruota degli eletti, di poter far segno all’autore “ho capito, si, io ho capito” elimina alla radice la domanda: è riuscito? Altra domanda la anticipa: è qualcosa di esclusivo e io son dentro? E buono, altro non importa. Vabe’ bella e perduta é bella. Se si toglie il sonoro, la parte più pallosa, retorica, pesante, urticante del film è – per fortuna – perduta. Lascia un commento Annulla risposta Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *Commento Nome * Email * Sito web Navigazione articoli Collegamenti avventati tra Buñuel, Mao, Marx e Sartre. Due questioni.In lode a “Lo chiamavano jeeg robot”