Sofia e Bulgaria, appunti

agosto 30, 2017

Blg1 – Sofia, verso la città.

Il percorso dall’aeroporto di Sofia al centro della capitale bulgara non è lungo, ma è sufficiente per annoiarsi, grazie alla sequenza di palazzoni tutti uguali che scorrono oltre il finestrino dell’autobus.

Orgogliosi baluardi contro qualsiasi cedimento all’estetica, sono quasi sempre scoloriti, cadenti, senza la grazia fascinosa della decadenza.

Appartamenti sovietici a cellette, tutte rigorosamente della medesima dimensione, compongono facciate come cruciverba. Tutto uguale, verticale, orizzontale: triste.

 

danza horò

Blg2 – tempi dispari e regimi ugualitari

Dirigismo, rigore e imposizione egualitaria pare spinsero un ligio funzionario sovietico in visita a Sofia finanche a chiedere interventi nel campo musicale. S’era imbattutto nell’horò: danza nazionale a cerchio, con coppie che poi nel centro giocano al corteggiamento e lei che agita un fazzoletto (cosa mi ricorda, aspe’).

Alla guardia russa risultavano insopportabili i tempi dispari della tradizione musicale bulgara: 5/8, 7/8, 11/8, mai una canzone in quattro quarti, un affronto.

E chissà che avrebbe pensato del coro femminile “Il mistero delle voci bulgare” che riprende la vocalità tradizionale rurale, ricca di dissonanze e ritmi irregolari.

Il funzionario non riuscì tuttavia a imporre la sua linea musicale egualitaria e così ancora oggi può capitare, nelle domeniche di giugno, di incontrare un piccolo gruppo fuori al teatro nazionale di Sofia a ballare l’horò come da secoli. Difficile però che ci siano ad accompagnare il kaval (un flauto), la gadulka (una viola da due a cinque corde) o percussioni più o meno tipiche. Più probabile che a scandire il ritmo zoppo ci sia una chiavetta usb con la playlist collegata a una cassa. Maledetto progresso.

 

 

Blg3 – musica ardente e nestinari

Con maggiore fortuna o più tempo e abnegazione può capitare di assistere alla danza horò intorno a un falò che, ridotto a brace, sarà la pista da ballo dei nestinari cari a Battiato, accompagnati da tamburi e gaida, una sorta di cornamusa.

Rituale assai antico che mischia elementi pagani e altri tipici della chiesa ortodossa, oggi occorre cercarlo prestando attenzione.

Assai diffuse infatti sono le rappresentazioni turistiche, dove i nestinari non soffrono e sopportano le pene danzando sulla brace ardente in uno stato di trance, ma più semplicemente applicano un lubrificante per evitare di scottarsi.

Metafora dei tempi moderni.

 

 

Blg4 Chalga e Chalgaria

La chalga, invece, da tempo non è più solo la musica “etnopop” bulgara, ma un diffuso fenomeno di costume che divide i maitre a penser.

Tradisce la pura tradizione locale, é figlia di frenesia di consumo e disimpegno, ammicca.

Inevitabile mistura di differenti sonorità e culture, tendenza ormai diffusa in ogni ambito e popolare, apertura all’Occidente.

Agitano più spesso la prima opzione da destra, aprono sulla seconda a sinistra. Non si sa quanto pesino su opinioni e posizionamenti due fatti su tutti.

Da una parte, la chalga conta più sospiri (e ancheggiamenti nelle clip) che accordi.

I video patinati della biondona peposa Andrea, in particolare, hanno sollevato una certa attenzione sul piano internazionale. Pentagramma scarno, abiti pure.

Qualcuno dice che il mitico cantore Orfeo nacque proprio in Tracia, altri chiosano per fortuna è morto prima che tutto ciò accadesse.

Un tipo che somiglia allo Sgarbi bulgaro, infine, ricorda che qui nacque pure il dio del piacere Dioniso e ne deduce che Andrea si ispiri in qualche modo a quello, più che allo sfortunato amante di Euridice. Cosa non si fa con la cultura.

Dall’altra, tra i più famosi interpreti di questa musica etnopop, c’è la zingara Sofi Marinova, una sorta di Maria Nazionale in salsa bulgara. E soprattutto c’è Azis, eretto a simbolo dei diritti Lgbt.

Sofi e Azis, due star, espressioni di due minoranze che trovano così spazio, infondono fiducia nel riscatto personale e possono far da cassa di risonanza per certe istanze collettive.

Dieci anni fa Azis per il suo tour scelse come immagine una foto in cui baciava il suo compagno. Il sindaco di Sofia fece prontamente rimuovere tutti i manifesti per oltraggio alla morale.

A Sofia, dove in pieno centro ci sono – oltre che casinò – più locali fetish o comunque a luci rosse che indicazioni stradali. A Sofia, dove alcune aree, come quella tra la stazione centrale dei treni e Vitosha Boulevard, il vialone pedonale del centro, per diverse strade l’unica illuminazione è quella dei led spesso intermittenti, quasi sempre rossi, che contornano figure sensuali.

In questo quadro elettrico se ne può dedurre che per arrivare a rimuovere i manifesti il sindaco ci tenesse particolarmente o convenisse per calcolo elettorale. Azis, dal suo, probabilmente sapeva che avrebbe provocato clamore e ricavato pubblicità. Certa sinistra anche a Sofia non si interroga più sulla qualità della musica, concentrata come è sulle istanze che può portare. Non è noto, tuttavia, se la chalga abbia già trovato un Goffredo Fofi che la possa definitivamente sdoganare.

 

Blg5 – Sofia – Giro delle sette chiese

Come può non piacere una città che ha il triangolo della tolleranza tra i simboli storici? Tre edifici di culto di tre differenti religioni tutti a pochi metri, come è pure a Sarajevo. A Sofia verso la fine di Vitosha Boulevard si incrocia la cupola verde della Cattedrale ortodossa di Sveta Nedelja, o Santa Domenica, che dir si voglia.

A pochi metri si erge il puntuto minareto e la cupola della moschea Banya Bashi, progettata dallo stesso architetto della più nota moschea blu di Istanbul.

Completa il triangolo l’enorme sinagoga che può ospitare oltre 1.300 fedeli.

L’edificio di culto più grande e più significativo, tuttavia, è un altro: la Cattedrale con le cupole dorate intitolata allo zar Alexander Nevsky, che respinse le incursioni scandinave e fu elevato pertanto a santo.

Dice che le 12 campane suonano 24 differenti tonalità. Sarà. La campana più bella, tuttavia, appartiene ad un’altra chiesa, quella che dà il nome alla città: Santa Sofia.

Luogo di culto già nell’antica Tracia, questa chiesa a mattoncini rossi e richiami ornamentali sincretici Oriente/Occidente fu presa particolarmente di mira dai turchi. Quando nel milletrecento, quasi millequattro, misero a ferro e fuoco la città, alla chiesa di Santa Sofia, oltre a distruggere gli affreschi, aggiunsero un minareto e la convertirono così in Moschea.

Quattro secoli dopo si susseguirono due terremoti: nel primo crollò il minareto. Nel secondo venne giù una parte dell’edificio e uccise l’imam.

I turchi, religiosamente, intepretarono questo come un cattivo presagio e non ci misero più piede per nessuna ragione.

Campagna all’albero – Chiesa Santa Sofia

Così, quando nel 1878, gli ottomani vennero cacciati, per celebrare la liberazione a mestiere si vollero far suonare le campane di tutte le chiese a festa, ma Santa Sofia se ne trovò sprovvista. E se ne dovette fissare una alla meglio, su un albero di fronte all’ingresso della chiesa. Temporaneamente, dissero.

Sta ancora lì, ammirabile tra le fronde.

Un vero monumento alla provvisorietà permanente, di quella da salvare.

 

 

Statua Santa Sofia

Blg6 Sofia – Il nome e la statua

Sofia è una città itinerante, secondo una definizione cara a un compianto irpino che sapeva guardare lontano.

Serdica quando fu fondata dal celti sette secoli prima di Cristo, intitolata a Traiano con un “Ulpia” prima di Serdica (e riconosciuta come capitale della regione Dacia) sotto i romani, Triaditsa con i bizantini.

Il nome più suggestivo è forse quello che precede l’attuale, Sredets, che in slavo suona un po’ come “nel mezzo”.

Si chiama Sofia dal 1376 e prende il nome dalla Chiesa di Sveta Sofia che – si badi – come quella a Istanbul, non è dedicata alla Santa, bensì alla più antica e altrettanto letterale “Divina Saggezza”.

Nel Duemila, tuttavia, quando il regime comunista era caduto da tempo e quello delle fake news non era ancora imperante, il sindaco della città (curiosi personaggi hanno guidato la capitale bulgara) ebbe un’idea indimenticata.

Lungo la trafficata Todor Alexandrov Boulevard, non distante dalla Cattedrale di Sveta Nedelja, in mezzo alle corsie, laddove si ergeva una statua di Lenin poi rimossa come tante altre cose, volle a imperitura memoria un monumento simbolo per la città.

A nulla valsero i tentativi di intellettuali e persone di buon senso a che si ravvedesse. Non volle sentire ragioni.

E così, sopra un basamento di 24 metri si staglia una statua di donna che raffigurerebbe Santa Sofia. Nuovo simbolo della città. Nera d’abito, oro per la pelle, con vestimenti – la verità – un po’ succinti, almeno porta opportunamente una corona sul capo.

E però nella destra stringe l’alloro, sul braccio mancino sta impettito un gufo con le ali a bandiera. Due simboli pagani; un gusto opinabile; nessuna traccia di divina saggezza.

 

 

blg7 Sofia – riti

Marteniza

Tra le cose da salvare a Sofia ci sono di sicuro certi rituali. Come la marteniza. Le vie acciottolate in centro tra il Palazzo Presidenziale e il Museo Archeologico sono verniciate di giallo; dice che era di abbellimento per lo sposalizio della figlia dello zar Ferdinando; più realistica l’ipotesi che, piazzate le pietre, risultarono scivolose e si dovette intervenire per evitare capitomboli. Non solo della sposa.

Sui lati di quelle strade, tra le foglie degli alberi, è possibile scorgere dei braccialetti di filo bianco e rosso.

È per la marteniza. Rituale di buon augurio e buona salute, implica lo scambio di questi braccialetti a inizio marzo, con l’avvento della stagione primaverile.

Chi lo riceve lo porta al braccio e poi al primo segnale della stagione buona (una rondine, la fioritura di una rosa, forse anche una ragazza con la gonna corta) lo appende a un ramo. Un ornamento per gli alberi che sembra venire da una tradizione rurale e pagana. Come altre.

Il “giorno del perdono”, per esempio, qui di emanazione ortodossa ma presente in altre formule anche nella cultura ebraica e cristiana.

Sei settimane prima di Pasqua cade non solo l’ultimo giorno prima dell’astensione da pietanze a base di carne, come è pure più a Occidente, ma anche un rituale quaresimale particolare: si ammettono errori e torti fatti verso qualcuno, così da riconciliarsi. Un invito e una occasione per la buona creanza.

Pagano e rurale appare anche il rituale della bevuta alla fontanina accanto all’elegante palazzo delle terme municipali, ora ridotto a museo. L’acqua sulfurea è calda e ha un sapore sgradevole impastato di uova, vuole che si beva per salute e nutrimento, buon augurio e promessa a tornare. Si sta là, si fa.

E che dire dei kukeri che con grandi maschere e campanacci (chan) di rame al collo ballano – ah, vederli – il rito propiziatorio per la semina? Quanto sono distanti dai Mamuthones sardi? Poco, nel fondo. Come tanta parte della ritualità rurale.

Come dire – con facile retorica – che la terra, alla fine, una è.

 

Blg8 Sofia – pedoni e scacchi

Le donne hanno gambe lunghe e calze nere anche d’estate. Passeggiano curate, con tutti gli abbinamenti giusti e senza nessuna frenesia. La Bulgaria cresce a ritmi sostenuti, anche dell’8%, ma non lo dà a vedere. Non ha nessuna fretta.

Gli unici sono i vecchi che giocano a scacchi nei parchi, uno muove una torre contro l’avversario come un atto di guerra e schiaccia veloce il pulsante bloccatempo, manco potesse interrompere con quel gesto davvero lo scorrere inesorabile dei minuti. L’altro non è da meno. C’è tensione, lo si nota da quanti numerosi assistono alla partita tutt’intorno alla panchina e non fiatano.

Ogni tanto passa qualcuno con una bottiglia di due litri di qualcosa che somiglia alla cocacola. Ne passano diversi. Sono spesso giovani, quasi sempre malandati, hanno passi mafermi. Che dentro la bottiglia ci sia mischiato il distillato nazionale, la rakìa, è più di un sospetto.

Li superano ragazzi con lo skateboard che fanno a gara. Qualcuno addirittura sorride. Forse vanno nel parco vicino Orlov Most, dove hanno montato una rampa a conca (dice che si chiama halfpipe, mezzotubo) per far esercizi ed evoluzioni sulla tavoletta con le rotelle.

Sta proprio lì, davanti a quello che è diventato il monumento al sarcasmo e alla speranza. E la rampa pare una larga risata.

Il monumento, la verità, è all’origine serissimo; è la rappresentazione eroica di soldati sovietici nell’atto di liberare la Bulgaria dagli oppressori turchi.

Dei giovani burloni, forse dell’Università che sta lì a pochi passi, nel 2011 dipinsero queste figure fino a trasformarle in copie di supereroi dei fumetti, con Superman in posa plastica al centro. Una insolenza che il Cremlino non mancò di stigmatizzare. In tempi record si provvide a ripristinare luoghi ed eroi, ma restano foto a documentare.

Due anni dopo, in occasione dell’anniversario della primavera di Praga, nuova incursione: figure dipinte di rosa e sotto la scritta a spray “la Bulgaria si scusa”.

A Mosca si fecero rossi di irritazione. Qualcuno provò a spiegare che si trattava solo di un gesto goliardico e che non vi era una critica feroce all’invasione dei carrarmati dell’Urss nella capitale cecoslovacca nel Sessantotto a normalizzare, nella cupezza, uno slancio collettivo non calcolato. Quello che sta nella pagine sulla leggerezza dell’essere che può essere insopportabile. O “insostenibile” come, con tono più morbido, ha tradotto qualcuno. Non bastò. La Bulgaria dovette scusarsi ufficialmente con il gigante sovietico.

Stesso copione l’anno dopo: il monumento si presenta con una bandiera dell’Ucraina – appena invasa – e la scritta “Kaputin”, efficace gioco di parole, non gradito all’immarcescibile Vladimir.

Scuse formali del Governo alla Russia e ripristino dei luoghi. Fino alla prossima volta.

Uno skateboard vi seppellirà.***

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