La fabbrica delle donne: storia di un paese immaginario (neanche tanto)

agosto 4, 2018

Stranieri, straniere più specificamente, venute in Italia a faticare. E gente del Belpaese. Assalti alle baracche, immigrate scomparse o trovate morte e senza un nome. Familismo amorale capace di farsi complice dei peggiori misfatti contro chi metta in pericolo la sicurezza dei propri costumi, metta a rischio la campana di vetro del proprio modo, tranquillo o noioso, di vivere. Com’è in tanti piccoli centri. Al Nord come al Sud. Verlascio è un paese immaginario, tanto fesso che non ci bada nemmeno la camorra. Uguale a tanto Mezzogiorno cui non bada nemmeno lo Stato; e non da oggi che la questione meridionale è relegata a paragrafo della storia italiana. Da tempo: perché Sud troppo spesso è tradotto con Napoli, Palermo. E invece è soprattutto piccoli centri, specialmente dell’entroterra, che a guardarli controluce sembrano fermi agli anni settanta, o ancor prima. Cosa accadrebbe se in un piccolo paese bell’e bbuono si mettesse su una fabbrica, magari per rubare un po’ i fondi europei, e arrivassero a lavorare tante ragazze straniere? Sembra questo il quesito che ha solleticato la curiosità di Goffredo Buccini, ispirandogli un romanzo intrigante, capace di salire nella suspense, nell’attesa di quel che viene alla pagina seguente e di aprire a un sorriso interiore per il piacere di leggere una lingua musicale. Una lingua che ha echi di Basile ma fa dell’originalità la sua cifra.
L’autore crea nuove sonorità, recupera e inventa parole, intere espressioni, gioca – talvolta compiaciuto – di onomatopeie, crea figure epiche, come le mariannanze (donne che la vita l’è passata addosso e le ha sformate, però tengono la dignità delle madri e il rispetto dei maschi) che sarebbero capaci di calmare con uno sguardo un sarago di ragazzo che fosse andato d’aceto.
La Fabbrica delle donne è ricco di accenti di poesia come solo l’adolescenza può dare e toni grevi di brutalità come soltanto un branco può toccare. Un romanzo di formazione, anche. Con dentro personaggi che crescono pagina dopo pagina (Mariano, in particolare, ne risulterà il più ricco di sfaccettature) e certe storie di giovanili amori, che superano il concetto stesso di integrazione. Buccini ci regala un testo lavorato su più livelli e molto cinematografico. Magnifici alcuni passi, che talvolta ricordano certo Truffaut, come il dialogo tra Gesuino – l’adolescente io narrante del romanzo, un figlio del paese – e Gemmarosa – “straniera”, anche se di Altomonte, in Calabria «Tuo padre e tua madre fanno finta, me l’hai raccontato tu» – dice lei- «E allora?» – «E tu vuoi cominciare a fare finta da mò? Non ci arrivi alla loro età» «È che io non so odiare bene come te» «E manco amare» – «E manco» – «Perciò» – «Capace che un giorno imparo».
Capace; intanto l’epilogo, non proprio scontato, apre a quesiti che dal paese immaginario riportano alla cronaca quotidiana. Con un’altra musica nella testa, però.

 

 

Autore: Goffredo Buccini
Titolo La fabbrica delle donne
Editore Mondadori
Anno di pubbl. 2008
Collana Scrittori italiani e stranieri
Pagine 272
Formato 14,0 x 21,5
Legatura cartonato con sovraccoperta
Prezzo € 17,50
ISBN 8804573597

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