Personale/Plurale (2) Il patto con il cielo luglio 10, 2020 Contadino era mio nonno e la terra era tavola imbandita, sudore alla fronte e segni da cavare dentro al cielo. Riconosceva la luna giusta per seminare il grano e quando era tempo buono per levare l’erba tra i filari. I venti, tutti li sapeva. Gli bastava un momento dedicato ad ascoltare, a dare l’orecchio alla natura. Dal presagio confidato dalla terra ricavava il vento che arrivava. E così potava gli ulivi secondo la traiettoria che quello soffiando avrebbe tracciato. Fosse stata Voria o Maestrale preparava con cesoie colore di ruggine la strada comoda perché il vento giungendo si insinuasse tra le foglie, a portar via con sé i parassiti rimasti senza più riparo. Spostati via dal vento. Quando si ha sapienza e cura e buona lena, quasi mai serve cedere al facile ripiego, come é il veleno o il suono di uno sparo. Capitava quando passavano settimane senza pioggia: prendeva il fucile, mirava alle nuvole e sparava. Uno sparo secco, senza cattiveria, premeva il grilletto con un movimento gentile delle dita tozze e veniva giù un temporale benedetto. Io spalancavo gli occhi e guardavo i suoi lucenti, come si guarda chi sembra aver carpito dei segreti dal mondo che manco pensavi si potessero fantasticare. Lo stupore poi aumentava a notare che lui non si sorprendeva, né se ne beava. Per lui era tutto naturale. Contadino era mio nonno e poche ne aveva di pretese. Mettere il piatto a tavola tutti i giorni della settimana, una moglie rispettabile, figli da crescere e da condurre ai campi e poi i nipoti, qualche ricordo lieto, una tirata di tabacco per Natale. A campare così, pensieri strani manco te ne vengono, stai dentro al tuo e te lo fai bastare. Tutte le mattine te ne vai per campi. La domenica a sentire la funzione, col tempo a far da fratello alla congrega, perché la chiesa è una parte della vita semplice che scorre senza cercare niente da contare. Teneva la naturale vocazione a stare così, mio nonno, felice dentro al poco. Le azioni fatte sempre con coscienza, il senso del giusto come misura di tutte le cose del mondo. Se male non ne fai che vuoi temere? Come si va? Graziamodddije. E la campagna? Maipeggio. Contadino era mio nonno e a modo suo un patto si era fatto con il padreterno. Io campo da buono cristiano e tu lo tieni in conto. E quelli erano tempi che non vi era distanza tra la parola data e i fatti conseguenti. Rimaneva intatta l’aderenza biblica tra il detto e il vero. “Che luce sia e luce fu” valeva ancora. Contadino era mio nonno e quando accadde non lo seppe sopportare. Gennaro, l’ultimo nato, che non teneva ancora due anni, smise di respirare in un momento. Non riprese più, finì così, perdendo il fiato. Venne giù il mondo. Un crollo così ti segna il volto di una striscia scura che non scompare più fino a che campi. Un creaturo era Gennaro, non doveva capitare. No. Cadeva tutto, più niente si teneva. Un affronto così manco al padreterno si può perdonare. Contadino era mio nonno e quella sera prese il fucile con il fuoco agli occhi. Uscì dalla porta e si sistemò il cappello. Prese bene la mira e poi sparò, dritto verso il cielo. Non era alle nuvole che mirava questa volta. Questa volta sparò con tutti i sensi contro di lui proprio, contro il padreterno. E quella volta non venne giù la pioggia. Cambiò qualcosa irrimediabilmente. Da allora il cielo non si accese più alla chiarezza del giorno, rimase spento, colore di cenere per sempre. Così rimase e mai più cambiò, a guardarlo riflesso negli occhi di mio nonno. Lascia un commento Annulla risposta Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *Commento Nome * Email * Sito web Navigazione articoli Personale/Plurale (1) 13 dicembre 1966, entroterra irpinoIl 1966, le vacanze e i tornanti irpini