La città dei vivi, istantanea a tinte forti su questo tempo dicembre 4, 2021 La città dei vivi può piacere per tante differenti questioni e dispiacere per una, unica, grande. Ha un incipit memorabile, come l’inizio di un film senza tempo, con uno sguardo sopra la quotidianità romana riconoscibile, realistica. Ha una trama che si sviluppa fitta, attira, si fa glaciale e attraversa eventi tragici, personalità tossiche, dinamiche sociali micidiali, sviscerate con lucidità e senza giudizio. La prosa è sempre sorvegliata, nonostante i frequenti cambi di registro. Possono notarsi alcuni slanci leziosi verso espressioni che mirano a essere scolpite nella pietra come massime senza tempo, definitive. Soccorrono però allusioni a idiosincrasie, distonie, rumori e guai urbani tipici di questo tempo. “Vivevamo l’epoca dello storytelling, un periodo in cui professionisti senza scrupoli maneggiavano l’armamentario con cui si fabbricano le storie di finzione per creare consenso e alimentare odio” dice Lagioia, e quel tempo non appare ancora passato o prossimo a essere superato. Dentro la città dei vivi il lettore è portato per mano a ricordare come il titolo sia una citazione, tratta dall’intercettazione più nota su Mafia Capitale, su quel “mondo di mezzo”, che riempì pagine di giornali e tenne con il fiato sospeso l’Italia intera qualche anno fa e poi più nulla, o quasi. Apre uno squarcio su fenomeni di interesse non solo giudiziario, ma sociale, psicologico, antropologico, privato soprattutto. La città dei vivi è la città di quelli che di base stanno sopra, in ambienti vicini all’intellighenzia cittadina o altrimenti urtati dalla fuffa del politicamente corretto. È Roma, una città eterna e quindi inscalfibile dalla contemporaneità, abitata da sguardi diffidenti, dissacranti, che verrebbe voglia di fuggire, qualche volta qualcuno ci prova pure, ma poi prevale la consapevolezza di stare dentro sabbie mobili, stretti da legami poco percettibili ma assai profondi, con un modo di intendere la quotidianità inconciliabile con la funzionante settentrionalità di una Torino. É una città, quella dei vivi, che a guardarla da vicino somiglia più a una landa sempre più desolata che al club degli eletti. I ragazzi hanno vite devastate dal nonsense, votate al nichilismo, dannate dall’incapacità di sentire con naturalezza. Hanno un profondo senso di rabbia, vite fami(g)liari apparentemente invidiabili e in verità disastrate. Per sentire hanno bisogno di esperienze forti, per sentirsi vivi hanno bisogno di stare sempre strafatti. Inseguono chissà quanto consapevolmente un sogno inconfessabile: abitare un mondo nel quale “l’unica unità di misura riconosciuta sia la propria immagine allo specchio”. Nella città dei vivi non si salva nessuno ma non ci sono giudizi apocalittici generazionali, risposte univoche o finali e queste potrebbero essere da sole buone ragioni per leggerlo. Vi è una questione che può determinare un dispiacere uno, unico, grande. I personaggi descritti sono talmente rappresentati in maniera realistica, anche nei salti, frequenti, da una voce all’altra, da un modo di presentare l’accaduto a un altro che poi, quando finito il libro scopri – per chi non ricordasse affatto che i fatti vengono dalla nuda cronaca – che sono veri, reali, che le vicende sono davvero accadute, ahimè, quando a quel punto cerchi riscontri su internet e trovi articoli e soprattutto alcune foto dei protagonisti ti sorprendi a scoprire che hanno una fisiognomica e qualcosa dentro gli occhi che è proprio come te lo eri figurato. Leggere immaginando che sia solo narrazione, storytelling, prosa, letteratura. E invece la storia è finanche vera. E questa è quello che arriva come un forte dispiacere. Che giro. Confina con un approfondimento giornalistico, ha elementi da saggio, conserva canoni narrativi da romanzo, ha connotazioni recuperate dalla cronaca quotidiana che talvolta lo propongono come reportage di vecchio stampo. Non contiene giudizi sommari, cedimenti a romanticherie salvifiche tanto praticate in tanti ambienti bene e non fa sconti. La città dei vivi è un libro contemporaneo senza scampo. (E per questo vincerà il Premio Napoli quest’anno). Lascia un commento Annulla risposta Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *Commento Nome * Email * Sito web Navigazione articoli L’invenzione della ruota e la storia di Almir.Fontamara, storia di un paese rurale che si fece letteratura universale