La bella “Patria” di Aramburu ottobre 22, 2023 Patria è un romanzo straordinariamente bello, come se ne incrociamo pochi tra i contemporanei sopra le 600 pagine.Ed è bello per più ragioni e in più maniere. È animato da personaggi che sembra di conoscere, di aver incontrato in una piazza di paese, sul pianerottolo di casa, al supermercato. Fanno errori, hanno difetti, dialoghi, caratteri che si avvertono vicini, familiari.È scritto con una vivacità di linguaggio che lo rende agile, colloquiale ma in maniera ricercata, studiata, musicale. Ha una architettura complessa con andirivieni frequenti e cambi di scena veloci, ma si legge come se la trama fosse riportata linearmente, senza mai correre il rischio di perdere il senso delle storie che contiene. Anche perché si può gustare a piccoli bocconi, perché si compone di tanti capitoli, tutti molto brevi, che vibrano di una umanità straordinaria, a tratti commovente. La voce narrante dialoga ora con un personaggio, ora con il lettore. In che senso? Nel senso che sembra quasi che a scrivere non sia una persona sola ma che il romanzo si formi da sé attraverso una ascesa polifonica, alla quale ciascuno, personaggi, scrittore, lettore, prende parte. E così se la frase prima è della voce narrante su come si sente un certo personaggio quella successiva sembra quella dello stesso personaggio che risponde, o anche: a un cenno dello scrittore su quel che sta per accadere può rispondere un interrogativo come fosse posto dal lettore. Nonostante questo determini cambi di soggetto e di tempi verbali repentini e inattesi, il risultato che ne viene è quello di un testo vivace e partecipato, molto godibile. Patria narra di vicende tremende, ci sono pagine molto crude, la lingua è funzionale al racconto, non ci sono costruzioni astruse di frasi ad effetto o particolari compiacimenti di chi scrive. L’autore sta al suo posto e fa salire la storia, le storie. A un tratto tuttavia sembra affacciarsi anche lui, tra i personaggi del libro, un po’ come Hitchcock che entrava divertito e divertente nelle scene dei suoi film. Aramburu lo fa in punta di piedi ma questo entrare nelle pagine, assieme a una scrittura fatta di dialoghi costanti tra voce narrante, personaggi e lettore, questo rimescolare le carte, i ruoli, i modi, è sintomatico di una felice inventiva, raffinata e inusuale. Sullo sfondo traspare la profonda conoscenza delle cose umane e della cultura, delle abitudini, delle tradizioni di quella terra fiera e magnifica che ha per epicentro San Sebastian, ops Donostia. Alcune espressioni sono tenute in lingua basca e danno un senso di maggiore verità alla storia che si snoda. Alla fine del libro c’è un glossario con la traduzione delle espressioni usate in lingua euskera, con alcuni idiomi che ricorda i espressioni dialettali meridionali. La drammatica vicenda del terrorismo dell’Eta emerge non con i toni della facile condanna ma in una dialettica che analizza e propone i differenti punti di vista, senza assolvere nessuno, ma senza quell’elemento semplificatorio che tanto nuoce alla lettura anche dei conflitti contemporanei. Le vicende sono quelle della quotidianità di due famiglie prima molto amiche poi divise tragicamente da eventi collegati all’Eta e alle scelte che alcuni personaggi fanno. Lo sviluppo non è solo della trama ma anche della interiorità dei personaggi che crescono, maturano, cambiano tra le pagine, pur rimanendo riconoscibili “sul fondo”. Chi scrive non cede alle lusinghe di quel linguaggio per taluni rassicurante e che tiene al riparo dalle storture del mondo e quindi dal mondo stesso. C’è di certo inventiva, finzione ma tutto suona per niente falso, anzi vero. Ogni personaggio ha le sue difficoltà grandi o piccole, le sue ragioni, i suoi errori, la sua umanità. Le figure femminili risaltano con più sfaccettature, quelle maschili sono un po’ più monocorde, pure nelle loro evoluzioni. Su tutte di staglia Bittori, con cui il romanzo si apre e si chiude, una donna avanti con gli anni, segnata da una tragedia familiare, battagliera e tenera, cocciuta, difficile, beffarda, vera, con una personalità forte e una umanità carnosa, che verrebbe voglia di abbracciarla o almeno di mandarle un bacio. Muxu bat, Bittori, muxu bat a questo microcosmo così vero e vitale che è Patria e a chi ce lo ha regalato. Lascia un commento Annulla risposta Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *Commento Nome * Email * Sito web Navigazione articoli Kundera, Stalin e la prostata di Kalinin (di obblighi e di libertà)La bella retorica di Flavia Trupia